“Le mie prigioni e il futuro della Russia”

ESCLUSIVO - Nostra intervista a Boris Kagarlitsky, critico dell’intervento in Ucraina, sociologo e attivista russo di sinistra, appena liberato dopo quattro mesi di detenzione a 1.300 km da Mosca per l’indimostrata accusa di “approvazione del terrorismo”

Boris Kagarlitsky, sociologo e politologo di fama internazionale e attivista di sinistra russo, dopo 4 mesi è uscito dal carcere. Fortunatamente, per l’accusa di aver “approvato il terrorismo” è stato condannato solo a una multa pecuniaria. Comunque, non potrà più svolgere attività di docenza o professionale in Russia.

L’opposizione ha tirato un respiro di sollievo, perché il dissidente rischiava fino a sei anni di detenzione nonostante i 65 anni di età. Pur non potendo, entrare nei dettagli della vicenda giudiziaria, abbiamo parlato con Boris della sua esperienza di prigionia e sulle riflessioni sullo stato generale del Paese.

Questa è la prima intervista che Boris concede da quando ha lasciato il carcere di Siktyvkar (Repubblica Komi) che si trova a 1300 chilometri da Mosca e siamo felici di poterla proporre su Naufraghi/e, che già lo aveva intervistato lo scorso anno. In lingua italiana (ed. Castelvecchi) è già uscito il suo volume “L’impero della periferia. Storia critica della Russia dalle origini a Putin”, e in primavera per lo stesso editore avremo il suo nuovo libro “La lunga ritirata”, un’ampia riflessione sulla sconfitta della sinistra europea e sulle sue prospettive.

Riassumiamo per i lettori che non hanno potuto seguire da vicino la tua vicenda, i motivi che ti hanno portato alla detenzione

Ufficialmente sono stato accusato di “approvare il terrorismo”. Come prova di questo mio presunto reato hanno usato uno stralcio di un video dove commentavo l’attacco ucraino al ponte di Crimea dell’ottobre 2022. Il titolo del video era “Il saluto esplosivo del gatto del ponte”. Facevo riferimento scherzoso a un gatto che effettivamente vive su quel ponte e di cui tutti i blogger avevano parlato quando Putin era giunto in Crimea il giorno precedente all’esplosione. La mia era solo una battuta sarcastica, nulla di più. A fronte di ciò anche il giudice ha dovuto riconoscere che non c’era alcuna approvazione del terrorismo da parte mia, anche se ovviamente non mi potevano mandare assolto. In realtà, i motivi del mio arresto erano diversi da quelli ufficialmente dichiarati. Alla metà dello scorso anno, infatti, era in corso una campagna per chiudere la bocca a tutti i personaggi più o meno noti che criticavano il potere, non importa se di destra o di sinistra. Non fui arrestato solo io ma anche un personaggio reazionario come Igor Strelkov per esempio.

Comunque, alla fin fine, ti sei fatto quattro mesi e mezzo di carcere

Sì ma non era la prima volta. Sono stato in prigione in epoca sovietica ai tempi di Breznev, quando avevo formato dei “club socialisti”, e poi nel 1993 e ancora nel 2001. Devo dire che da allora qualcosa è cambiato in meglio…

Ecco, raccontaci come sono le carceri russe. In Occidente abbiamo l’idea che possano assomigliare a qualcosa di tenebroso a metà fra le celle dell’impero zarista e le baracche dei gulag

Bisogna subito dire che in Russia sono previste diverse forme di detenzione, più o meno dure. Io sono finito, per fortuna, in una delle celle meglio attrezzate. Eravamo quattro e colui che, per modo di dire, se la passava meglio era un detenuto che attendeva il processo già da più di sei anni.  Per questo era già molto ben organizzato e aveva la sua TV e il suo frigorifero, che ovviamente aveva acquistato di tasca propria. Era molto rispettato nel carcere. Per cui, per esempio, i secondini non potevano mettere nella sua cella un detenuto che non gli fosse gradito. Ma questa, va ricordato, era una prigione per detenuti in attesa di giudizio. Ci sono poi i lager, ovvero dove si sconta la pena se si è condannati, che sono assai peggio. Sono spesso strutture isolate nei boschi e dove c’è l’obbligo di lavorare. Anche se poi le scappatoie ci sono sempre: un detenuto che stava lì con me anche se era stato condanno era potuto rimanere in qualità di cuoco. È stata una cosa vantaggiosa perché in quanto suo conoscente ti garantiva sempre una razione maggiore di rancio. Si possono anche acquistare prodotti alimentari nello spaccio interno (che comunque è molto caro) e anche ordinare la pizza all’esterno che però ti arriva il giorno dopo, ovviamente fredda.

Quali erano i tuoi rapporti con gli altri detenuti? In Russia siamo ormai abituati al fatto che tutti temono di parlare di argomenti “vietati” come la guerra o la corruzione del potere

In carcere nessuno ha paura di parlare. Del resto a cos’altro potrebbero essere condannati? Da questo punto di vista è paradossalmente un’oasi di libertà. In generale i detenuti hanno un atteggiamento molto critico su quanto avviene nel Paese. Non ho incontrato nessun che fosse entusiasta per la guerra in Ucraina. Ma c’è un aspetto da sottolineare: la persona che si dichiara contraria alla guerra potrebbe, allo stesso tempo, essere disposta ad andare a combattere perché ciò consente di uscire di prigione. Cercano di sfruttare questa possibilità soprattutto i detenuti che devono scontare più di cinque anni di reclusione. Se la pena è inferiore, preferiscono restare in carcere e non rischiare la pelle.Ho conosciuto anche un detenuto che era stato in Ucraina come volontario e poi, una volta tornato, lo avevano di nuovo arrestato. Anche lui era comunque contrario alla guerra.

In Russia i detenuti comuni sono separati da quelli politici?

In epoca sovietica c’era questa separazione, ora no. Oggi suddivisione nelle carceri russe è diversa. Si separano quelli che creano problemi da quelli che non ne creano; tra quelli di “bassa qualità” e quelli di “alta qualità”. Stupratori, spacciatori, ecc. sono considerati ovviamente di “basso livello” e non fanno certo una bella vita dietro le sbarre. Due delle persone che erano in cella con me erano accusate di omicidio ma venivano da “strati sociali rispettabili” essendo degli ex imprenditori, per cui venivano comunque considerati di “alto livello”.

Per quanto riguarda i rapporti con l’esterno, per esempio la corrispondenza?

La ricevevo. Passava per la censura ovviamente. Due lettere sono state bloccate perché mi informavano che stava girando la voce che Putin fosse morto. Potevo anche scrivere. Ho potuto scrivere quattro articoli, ovviamente non attinenti ai “temi caldi”. Qualcuno ha iniziato a incitarmi a scrivere dei “quaderni dal carcere” ma mi sono rifiutato rispondendo che non avevo intenzione di stare a lungo in carcere come Gramsci!

Si possono ricevere libri in carcere?

Per i libri la situazione è complicata. C’è la biblioteca interna ma che contiene solo letteratura, niente saggistica. Anche dall’esterno si può ricevere solo letteratura. Un ulteriore problema è dovuto al fatto che non esiste un catalogo della biblioteca del carcere. Per cui devi chiedere un titolo a caso e dopo un po’ la bibliotecaria ti comunica se il titolo è disponibile o meno. Io chiedevo ai miei compagni di cella cosa avessero letto, così un’idea su cosa chiedere l’avevo. Si legge molto in carcere per passare il tempo.

Niente saggistica, peggio che in Italia durante il fascismo

Il primo mese e mezzo la bibliotecaria era malata, e non ho potuto ordinare niente. Per cui successivamente mi sono accontentato.

In quanto sociologo cosa hai colto della composizione sociale dei carcerati? Si tratta soprattutto di proletari o sottoproletari?

Sì, molti proletari ma anche tanti funzionari statali in carcere per corruzione. C’era anche l’ex vice sindaco di una cittadina. Era in carcere per omicidio. Aveva ucciso involontariamente una persona durante una rissa tra ubriachi seguita alla festa della città. C’erano poi vari imprenditori legati a organizzazioni criminali. Naturalmente tanti operai, disoccupati, giovani. Un caleidoscopio di tutta la società russa. Molti crimini sono legati al reddito. Al reddito che non c’è o che è insufficiente per vivere.

Vivendo a Mosca si ha quasi l’impressione che la criminalità in Russia non esista, che il regime operi per dare un’immagine di tranquillità e di sicurezza. Neppure sui giornali “mainstream” vengono riportati casi di cronaca nera

Non è proprio così. Ogni sera va onda in Tv “Dejurnaja Cast” (“Stazione di servizio”) una trasmissione molto vista dai detenuti, in cui si parla di cronaca nera. Poi c’è una trasmissione quotidiana di cronaca nera sulla Tv locale che dura un’ora e in cui molti detenuti riconoscono amici e parenti coinvolti in qualche brutto affare…

E i migranti?

Ovviamente ci sono molti migranti in carcere . Soprattutto uzbeki, molto meno kazaki. Si tratta di circa del 15-20% della popolazione carceraria. Poi ci sono gli elementi della diaspora post-sovietica, soprattutto di origine azera.

Questa condizione, diciamo ‘estrema’, ti ha condotto a fare delle riflessioni sulla società russa in generale?

In carcere hai la possibilità di incontrare persone che normalmente non frequenteresti. Nella mia visione, molta gente che è in galera non si può definire criminale. Non hanno quella “tendenza interiore” al crimine. Si tratta perlopiù di gente che supera i confini della legalità con relativa facilità. Gente per cui delle piccole infrazioni della legge sono abituali e che prima o poi finiscono arrestate. C’era per esempio un giovane che si era scazzottato coi vicini perché avevano la musica alta. Non era un criminale, semplicemente una persona che aveva facilità a risolvere le controversie in quel modo. Per questa gente oltrepassare certi limiti non è così grave.

Ti conosco come una persona ottimista, sia dal punto di vista individuale che politico. Dopo questa esperienza lo sei ancora?

Sì, sono un ottimista di natura. Ero convinto che non sarei rimasto in galera a lungo e così è stato. Ho dei motivi per essere otimista. Se credi che ti succederanno cose positive aumentano le possibilità che esse realmente avvengano.

Sai che in merito alla tua reclusione, sui social qualcuno ci ha anche scherzato: “Il potere non sa cosa significa arrestare Kagarlitsky. Ai tempi dell’Urss, dopo che lo arrestarono, quasi subito morì Breznev!

…e figurati che dopo il mio ultimo arresto è iniziata a girare la voce che Putin era morto e quella che vedevamo in Tv era solo una controfigura!

Anche Gorbaciov prima di morire intitolò la sua autobiografia “Io resto ottimista”, tu perché lo rimani?

Bisogna ammettere onestamente che di solito le vicende come la mia non finiscono bene. Il fatto di essere un docente universitario, un politologo e un sociologo conosciuto anche all’estero, mi ha aiutato molto. E non solo, mi ha aiutato la campagna dell’opinione pubblica a mio favore. Anche qualcuno che sta al vertice ha pensato che fosse meglio lasciarmi andare, che il mio caso li danneggiava più che avvantaggiarli. Però se fosse successa la stessa cosa a un attivista di sinistra o dei diritti civili di provincia nessuno lo avrebbe aiutato. Lì in carcere c’era per esempio un attivista che aveva criticato il governo sul suo blog e, per il mio stesso reato, stava scontando cinque anni e mezzo di prigione.

A me è andata bene e sono contento, ma l’ingiustizia resta evidente. Dal punto di vista politico posso dire questo: certo alle presidenziali di marzo Putin verrà rieletto, ma il solo fatto che una parte dell’opinione pubblica pensa che egli sia morto e al suo posto ci sia una controfigura la dice lunga sulla credibilità di queste elezioni. La gente crede molto meno nel sistema rispetto a sei anni fa. Per la prima volta la gente pensa in cuor suo che non siano elezioni legittime. La situazione è diversa anche per la nomenklatura burocratica. La burocrazia è stanca di dover risolvere problemi che il Cremlino continuamente crea. Per esempio, in molti pensano che queste elezioni non servano, nel momento i cui devono affrontare ben altri problemi. In provincia questo malessere è ancora più evidente che a Mosca. Si tratta di un fenomeno nuovo.

La Russia è sull’orlo di una crisi in cui il pericolo maggiore viene non dal popolo ma dalla burocrazia. Quest’ultima tende sempre di più a sabotare i progetti del governo, a rallentarli. Più avanti si mobiliterà anche il popolo, ma per ora il fattore di destabilizzazione principale è la burocrazia. Il potere non è in grado di risolvere alcun problema. Prosegue sulla strada della repressione e della propaganda e accumula problemi. Come dice un detto russo: “per guarire il malato rompono il termometro”. Pensano che non affrontandoli i problemi si risolveranno da soli. Il livello dei problemi che si sono accumulati non può conoscerlo l’opposizione, ma è più interessante che non lo conosca neppure il potere. Quando e come tutto ciò si trasformerà in protesta sociale nessuno lo sa. Ma è certo che per motivi diversi tutte le classi oggi in Russia sono scontente e incerte.

Nell’immagine: Boris Kagarlitsky al momento dell’ultimo arresto