Kagarlitsky ragiona su Lenin e la sinistra oggi

Date
June 12, 2024

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La guerra, la rivoluzione, e una sinistra attuale inadeguata, sono i temi che Boris Kagarlitsky affronta nella sua più recente lettera dal carcere.

da rabkor.ru

Gli articoli su Lenin dovrebbero essere scritti e pubblicati almeno una volta all’anno, in occasione della data di nascita, il 22 aprile, e a volte anche a gennaio, quando si avvicina l’anniversario della sua morte. Non sarebbe difficile compilare una raccolta in più volumi di questi testi, e in effetti non ricordo più quanti articoli ho scritto personalmente per commemorare date di questo tipo. Questo significa che non c’è più nulla da dire o da pubblicare?

Se rinunciamo alle estasi obbligatorie per l’anniversario e alle maledizioni rituali (altrettanto obbligatorie), tutte ormai così mortalmente noiose da rileggere e ripetere, rimane una domanda: perché oggi, nel 2024, dovremmo trovare Lenin interessante? La risposta più ovvia riguarda i testi che il leader bolscevico scrisse 110 anni fa in opposizione alla Prima Guerra Mondiale, testi che oggi sono estremamente attuali.

Come sappiamo, la maggior parte dei socialdemocratici dei vari paesi belligeranti era unita nel sostenere i propri governi e le “proprie” borghesie, nel trovare ogni sorta di giustificazione per la guerra e nello spiegare che i “loro” paesi non erano affatto colpevoli di aggressione, ma erano stati costretti a prendere le armi e stavano combattendo contro l’ingiustizia e le ambizioni imperiali di altri. All’inizio, la logica del “sostegno alle nostre truppe” era abbastanza efficace. Da qualsiasi parte si schierassero, la propaganda era sempre la stessa: “noi” eravamo nel giusto, mentre “loro” non lo erano, e qualsiasi cosa “noi” facessimo, ci stavamo solo difendendo. Qualunque cosa accadesse, la colpa di tutto era “loro”. Gli alleati di ieri venivano presentati come l’incarnazione di tutti i mali, mentre i cattivi palesemente evidenti venivano improvvisamente dichiarati bravi ragazzi.

A onor del vero, va detto che per Lenin, in quel momento in emigrazione, era molto più semplice e meno pericoloso criticare gli sforzi militari delle autorità russe di quanto non lo fosse per i suoi compagni di pensiero che si trovavano ancora in Russia. Nonostante ciò, la situazione aveva le sue stranezze e Lenin fu comunque arrestato; a Cracovia, dove lui e la Krupskaja si erano stabiliti per essere più vicini alla Russia, i funzionari austro-ungarici arrivarono quasi a scambiare il leader bolscevico per un agente del governo zarista (c’è un bellissimo film sovietico, intitolato “Lenin in Polonia”, che racconta questi eventi). Ben presto, è vero, gli austriaci lo lasciarono andare e gli permisero di trasferirsi nella neutrale Svizzera. Nel frattempo, i deputati bolscevichi della Duma di stato furono imprigionati per la loro posizione contraria alla guerra.

Tuttavia, ci voleva coraggio per parlare contro la guerra, e non solo coraggio personale, ma anche coraggio politico. Con il senno di poi, possiamo capire quanto la posizione assunta da Lenin fosse efficace in termini politici. Il fatto che lui e i suoi sostenitori fossero un’evidente minoranza significava che si distinguevano nettamente dallo sfondo generale. Poi, quando le circostanze cambiarono, quando le esternazioni patriottiche sulla “guerra fino alla vittoria” furono sostituite dalla stanchezza, dalla disillusione e dalla consapevolezza dell’assurdità di ciò che stava accadendo, e quando tre anni di spargimento di sangue avevano creato una potente richiesta di cambiamento, fu a Lenin e ai bolscevichi che milioni di persone rivolsero lo sguardo (e non solo in Russia).

La ruota della fortuna aveva girato, con il risultato che i bolscevichi e le autorità governative avevano cambiato posto. Il precedente manipolo di socialisti radicali, che nemmeno i leader dei principali partiti socialdemocratici avevano preso sul serio, era improvvisamente apparso alla testa di un movimento di massa. Lenin nella prima metà del 1917 era stato calunniato come agente straniero, ma prima della fine dell’anno sarebbe emerso a Pietrogrado come capo di un governo rivoluzionario.

Questa storia deve essere ricordata non per il fatto che tali svolte si verificano di tanto in tanto; sperare in un altro sviluppo del genere sarebbe prematuro e avventato. Molto più importante è capire perché Lenin prese una tale posizione e fece una tale scelta, che all’inizio lo trasformò in una figura politica marginale persino all’interno delle forze socialdemocratiche, anche se in seguito lo elevò ai vertici del potere. Un ruolo importante lo ebbero, ovviamente, i suoi principi rivoluzionari. La posizione che assunse era in linea con la filosofia del socialismo marxista e con le decisioni che la Seconda Internazionale aveva preso in precedenza, decisioni che i leader dei maggiori partiti dell’Internazionale avevano poi frettolosamente rinnegato.

Questo, tuttavia, non era l’unico aspetto. In definitiva, il leader bolscevico avrebbe potuto esprimersi in termini meno radicali, evitando un conflitto acuto con i politici più influenti della maggioranza socialdemocratica (questa fu la strada scelta da molte altre figure di sinistra). Al centro della posizione di Lenin non c’era solo l’ideologia, ma anche l’analisi politica, il calcolo delle cause e degli effetti e il senso della direzione della storia. Non è un caso che Lenin abbia condotto le sue ricerche sulla natura dell’imperialismo proprio durante il periodo della Prima Guerra Mondiale, o che abbia inserito la sua nota formula sulla situazione rivoluzionaria nel suo articolo sul crollo della Seconda Internazionale.

Non si trattava di teorizzazioni astratte. Il leader bolscevico analizzò la situazione politica e cercò di prevederne l’evoluzione. Per lui era chiaro che le autorità dell’Impero russo non solo avevano coinvolto il paese in una guerra del tutto inutile per il suo popolo, ma che lo avevano fatto per ragioni che includevano la situazione politica interna della Russia. La guerra era stata considerata un antidoto contro la rivoluzione e contro i cambiamenti politici in generale. Sfortunatamente, i fallimenti del paese in guerra avrebbero agito essi stessi da innesco per la rivoluzione.

Denunciando la guerra, Lenin, a differenza delle varie correnti pacifiste, non si limitava a prendere una posizione morale e ideologica, ma coglieva anche una testa di ponte politica per la partecipazione a futuri eventi rivoluzionari. La sua fiducia nell’imminenza della rivoluzione non si basava su una fede o una convinzione, ma sull’analisi delle contraddizioni sociali che, sviluppandosi, avrebbero inevitabilmente fatto saltare il sistema. Questa fiducia, a quanto pare, fu scossa solo una volta, all’inizio del 1917, quando pronunciò le famose parole: “Non vivremo abbastanza per vedere la rivoluzione”. In effetti, a quel punto sembrava che il sistema, in qualche modo misterioso, stesse affrontando tutti i problemi e persino i propri fallimenti, mentre il popolo russo sopportava, con sorprendente pazienza, tutto ciò che il regime gli stava facendo. Questo, tuttavia, avveniva nell’ora più buia, appena prima dell’alba. Le contraddizioni sarebbero presto esplose, in modo tale che ancora oggi sentiamo l’eco di quell’esplosione.

Il punto, tuttavia, non riguarda solo l’accuratezza delle previsioni di Lenin o la sua comprensione dell’inevitabilità della rivoluzione. Non tutte le sue previsioni si avverarono e la sua analisi delle situazioni non fu sempre corretta. La cosa più importante è che la sua previsione più importante sia stata azzeccata, che le sue previsioni si siano avverate, anche se più tardi del previsto, e che la sua analisi sia stata confermata. Fu grazie a questo che Lenin, da teorico rivoluzionario, divenne un politico. O, più precisamente, ebbe l’opportunità di realizzare il suo potenziale di attore politico, cosa che in realtà era sempre stato.

Il problema della sinistra di oggi è che, pur ragionando filosoficamente, riflettendo su questioni filosofiche e discutendo su chi sia il marxista più autentico e quale sia la formula più corretta dal punto di vista dell’ideologia astratta, ci mancano le capacità e la disponibilità a fare politica. Questo è comprensibile: non abbiamo un corpo serio e vitale di pratica politica. Non abbiamo nulla su cui formarci.

Lenin nel 1917 ha affrontato questo problema. Lo affronteremo anche noi, se ne avremo improvvisamente la possibilità?