A colloquio con i collettivi di base ucraini

Mi trovo attualmente in Ucraina per conoscere le voci della resistenza sociale e militare all'invasione russa che sono più vicine alla mia idea di mondo. L'egemonia delle narrazioni pubbliche sulla guerra schiacciate sulle retoriche neoliberali, o rosso-brune, sull'idealizzazione della Nato o su quella dei suoi nemici, non mi bastano fin dall'inizio. Ieri, finalmente, a Lviv (Leopoli) ho avuto modo di partecipare a una lunga e appassionata riunione tra italian* e ucrain* che condividono la necessità di contrastare l'egemonia del neo-liberismo in Europa (Ucraina inclusa) e dell'oscurantismo oligarchico e omofobico nello spazio ex sovietico (a partire dalla Bielorussia).

A confrontarsi con me, e con i Municipi sociali di Bologna, erano presenti ieri sera attivist* di Sotsialnyi Rukh (Social Movement) e Feminist Workshop: rispettivamente un'organizzazione socialista con diramazioni a Lviv, Kiev e Kharkiv e un network femminista attivo a Lviv, Kiev e insieme a donne della Crimea. La discussione si è concentrata sui loro progetti per affermare una società autenticamente democratica nell'Ucraina che sarà necessario costruire durante e dopo la resistenza, sulla pertinenza dei concetti di antimperialismo e post-colonialismo in relazione ala condizione storica e alla resistenza armata dell'Ucraina, su donne e autodifesa, sull'ambivalenza dell'eredità socialista per la sinistra e per la società ucraine, sull'affermazione della pluralità linguistica e religiosa dell'Ucraina come una ricchezza, sulla necessità di istituzioni decentrate, sulla volontà di difendere gli spazi di autonomia e democrazia contro il progetto imperiale di Russia Unita (il partito di Putin) con tutta la determinazione necessaria.

E' stato un incontro di grande impatto (sia pur interrotto da allarmi aerei che impongono scomodità, spostamenti e inevitabili preoccupazioni) e che onestamente cercavo da tempo. Interessante come riferiscano di una diffusa ostilità sociale de* ucrain* al neoliberismo imperante, di come l'idea di diritti sociali, soluzioni abitative pubbliche, sanità pubblica e distribuzione ragionevole delle ricchezze siano diffuse nella popolazione ed entrino in collisione con la linea del governo di Kiev. Al tempo stesso la tendenza culturale generale è di rifiuto radicale dei termini "sinistra", "comunismo" o "socialismo" a causa della passata oppressione subita da parte di dirigenze comuniste, e questo crea la situazione paradossale e molto pericolosa di una popolazione che, ci dicono, "desidera forme di socialismo ma rifiuta ogni identità di sinistra".

Per questo Social Movement e Feminist Workshop stanno cercando di costruire un intervento sociale concreto (il primo sindacale, il secondo con le donne sfollate per la guerra) che renda impossibile a settori della popolazione non riconoscere il ruolo storico e sociale di una sinistra che rifiuta tanto i modelli del liberismo quanto quelli del socialismo reale, e che può così diffondere i suoi paradigmi in evoluzione. Il discorso che cercano di far emergere è che la dirigenza ucraina sta cercando di fare della guerra stessa un business per le oligarchie private, mentre il paradosso politico e morale è che questo è incompatibile con la cultura di enorme solidarietà collettiva, militare e sociale, che si è diffusa come fatto nuovo tra gli strati popolari durante la resistenza.

Della massima importanza l'analisi che hanno condiviso con noi sulla memoria storica, dove le autorità mitizzano le figure fondatrici dell'esperienza nazionale ucraina degli anni successivi alla Prima guerra mondiale sottacendo il carattere socialista delle figure politiche e intellettuali di quel periodo, a tutto vantaggio di chi vuole associarle, in modo anacronistico e contraddittorio, con il nazionalismo fascista maturato nella parte occidentale nei successivi anni Trenta, dopo che i massacri staliniani nel paese, diretti contro i contadini e contro le avanguardie comuniste della rivoluzione d'Ottobre, avevano completato la distruzione di una sinistra ucraina.

Si dicono interessat* a sviluppare relazioni internazionali, anche se non soltanto o non necessariamente verso occidente: ritengono che la loro storia abbia molto in comune con quella di molti paesi colonizzati in Asia e Africa, e intendono apprendere dalle storie di queste geografie. Da notare che le espressioni "antimperialismo" e "post-coloniale", ci dicono, erano praticamente inesistenti nel linguaggio della sinistra ucraina fino al 2022, mentre dall'invasione russa hanno invaso il dibattito. Mi ha colpito come le ragazze si riferissero ai gruppi femministi che hanno in questo periodo negato il diritto alla resistenza anche armata delle donne ucraine come "femministe occidentali", sottolineando che, dal loro punto di vista, non sostenere la causa di chi è colpito da un'invasione coloniale, portata avanti da una dirigenza transfobica e misogina come quella che qualifica Russia Unita, non è in alcun modo una soluzione per le donne ucraine o di qualsiasi parte del mondo.

Sanno che l'invasione russa imporrà difficoltà alle lotte sociali in Ucraina e degli effetti collaterali in termini di militarismo culturale, ma che loro affronteranno questi problemi senza negare a sé stesse e a* ucrain* il diritto di rifiutare l'imposizione di un modello retrogrado come quello che il governo russo vorrebbe esportare in tema di relazioni di genere. (Dicono di aver già abbastanza difficoltà con le politiche anti-abortiste promosse dai neo-liberisti ucraini al potere assieme alle gerarchie ecclesiastiche locali). Dicono di non vedere alcuna contraddizione tra femminismo e autodifesa armata.

Sono felice di aver finalmente ascoltato non de* ucrain* in generale, ma delle persone che in Ucraina si schierano politicamente secondo una linea che è compatibile con altri desideri, bisogni e interessi. Ho sempre sospettato tanto di chi parla degli interessi e delle caratteristiche di un gruppo sociale senza ascoltare le voci che emergono dal suo interno, tanto di chi ascolta voci indifferenziate da quel gruppo, senza tenere in considerazione la parzialità politica e valoriale intrinseca ad ogni posizionamento umano.

In altre parole: come * sirian* con cui dialogo e da cui apprendo sono le forze democratiche della Siria (il movimento confederale multietnico promosso dalle Ypj-Ypg), e non islamisti o baathisti, così * ucrain* da cui sto apprendendo e che sto ascoltando non sono i fascisti dell'Azov o il partito di Zelensky, ma le forze democratiche dell'Ucraina. Il fatto che siano oggi dei piccoli semi, determinati a lottare contro ogni avversità per germogliare, non fa che rendere più urgente la costruzione di amicizia politica nei loro confronti.

Secondo giorno di conversazioni a Leopoli con * giovan* ucrain* che sostengono la resistenza schierandosi contro o oltre la linea del governo. Incontriamo prima Ihor, studente universitario del collettivo Azione diretta. Si tratta di un gruppo studentesco storico, che tra il 2008 e il 2014 aveva condotto diverse mobilitazioni dove si sono formati molti attivisti e combattenti ucraini del presente. Poi, dopo Euromaidan, l'intera sinistra radicale ucraina si è spaccata a causa delle diversissime interpretazioni di quello che stava accadendo e Azione diretta si è esaurito. Qualche mese fa a Leopoli alcuni studenti hanno organizzato una conferenza sull'antifascismo, ma l'Ateneo l'ha resa impossibile attraverso un ostruzionismo burocratico. Ihor ritiene che a disturbare non fosse il tema, quanto il fatto in sé che gli studenti riprendessero un'agibilità autonoma, in un momento in cui l'agibilità politica è spesso negata nel paese eleggendo a giustificazione la guerra in corso. Gli studenti hanno deciso di rispondere rifondando Azione diretta dopo 9 anni di assenza e sono impegnati oggi ad aggregare nuovi attivisti nelle facoltà. Ihor dice che creare collettività politica studentesca è un obiettivo che in Ucraina è di per sé strategico.

Incontriamo poco dopo Anastasia, di Feminist Workshop, organizzazione che cerca di agire nelle scuole (nonostante il boicottaggio di politici locali che trovano "pericoloso" il termine "femminista") e gestisce un rifugio per donne sfollate dalle zone occupate o interessate dalle operazioni militari. Con lei discutiamo di come l'Ucraina può superare i passati e presenti conflitti ed evitare strumentalizzazioni interne o straniere delle sue differenze regionali. A suo parere unico modo è investire sulle comunità a livello microscopico e locale, creare attivazione non burocratica e senso di appartenenza e solidarietà nel concreto, come è successo nelle prime settimane di guerra, quando, racconta, si è sviluppata un'autorganizzazione capillare condominio per condominio. Le famiglie si sono organizzate per fare fronte alle necessità, inclusa la sorveglianza rispetto a possibili infiltrazioni nemiche, anzitutto a Kiev quando era circondata. Quell'esperienza dovrebbe essere il punto di partenza, anche perché la resistenza all'invasione è il punto di partenza della nuova Ucraina. Potenziare l'identificazione sociale concreta sul livello locale potrebbe, dice, avversare le narrazioni interessate e artificiali che cercano di suggerire un senso di identità a partire da deliranti riferimenti a comunità di sangue di un passato remoto, magari medievale, come fanno tanto il governo russo quanto l'estrema destra ucraina; e d'altra parte è necessario che l'Ucraina divenga lo spazio più generale di appartenenza, senza riferimenti etnici ma inteso come spazio civico.

In questo spazio, ci spiega, Feminist Workshop sta cercando di promuovere il femminismo e non è facile, soprattutto con i maschi meno giovani in posizione di potere, mentre è più facile, anche se non sempre, con le donne. L'eredità sovietica si concretizza in una serie di associazioni di donne, mentre il desiderio prevalente di adesione all'UE crea un'aspettativa in termini di diritti di genere. E' importante, dice, agire perché questa immagine dell'UE divenga più realistica: molti in Ucraina identificano l'Unione con la cultura tedesca delle regole, e la immaginano come uno spazio uniforme, mentre Anastasia e tanti altri che hanno viaggiato sanno che è una realtà molto più diversa e contradittoria se intesa come reale spazio storico e socio-politico, come del resto si stanno accorgendo i profughi ucraini. Inoltre l'orientamento neo-liberale dell'UE produrrà una serie di frustrazioni e delusioni, ci dice, nella popolazione Ucraina. Ritiene che si dovrà lottare per un'adesione che protegga alcuni diritti sociali (pochi) ancora residui nel paese. In generale, afferma, il riferimento all'UE è comunque oggi uno dei maggiori argini alle ideologie reazionarie e di estrema destra nel paese.

Esiste una cultura patriarcale molto radicata, ci dice, verso cui la guerra ha effetti ambivalenti. Da un lato è emersa un'indignazione di massa verso gli stupri di cui si sono resi responsabili i soldati russi, per esempio a Kharkiv, la sua città. Dall'altro questa indignazione è stata etnicizzata dai media e da gran parte della società: lo dimostra il fatto che, quando una ragazzina di 14 anni è stata stuprata da compagni di scuola nei Carpazi, in molti hanno cominciato ad avanzare le solite domande: perché era sola con loro? Perché era vestita così? L'organizzazione di Anastasia interviene in questi casi puntando il dito sull'ipocrisia di questo atteggiamento, che tratta le donne come un "patrimonio" nazionale intangibile per lo straniero ma potenzialmente a disposizione per le violenze autoctone. Le femministe affrontano il dibattito pubblico e chiedono: perché dovrebbe essere surrettiziamente colpevolizzata la vittima quando gli stupratori sono studenti ucraini, se ci rendiamo conto che lo stupro è ingiustificabile quando perpetrato da soldati russi? Nel complesso racconta che questo dibattito pubblico ha aperto spazi di avanzamento della coscienza sociale sulle violenze di genere.

Un elemento che denuncia l'arretratezza dello stato sulla questione di genere, spiega, è invece proprio la gestione militare della resistenza. Alle donne viene infatti lasciato pochissimo spazio nell'esercito, e spesso sono relegate a ruoli specifici, come infermiere, o nelle cucine. Si stupisce quando le diciamo che i media occidentali hanno cercato in questi mesi di diffondere l'idea che l'esercito ucraino sia nei fatti aperto alle donne. Dice che è il contrario. Molte donne ucraine vorrebbero combattere ma vengono ostacolate o relegate in ruoli non militari, a volte anche senza la documentazione dovuta e con difficoltà al loro rientro nella società civile. Per questo si è formato un "Veteran Women Movement" che supporta le donne che sono (state) nelle forze armate. Dal suo punto di vista la leva obbligatoria, che il governo sta intensificando, dovrebbe essere abolita: essa, che vale solo per gli uomini, crea sofferenze e umiliazione in molti maschi che non vorrebbero combattere mentre non facilita la partecipazione delle donne alla resistenza militare, sanzionando per loro un loro ruolo di genere che sarebbe incompatibile o meno adatto a questo tipo di responsabilità. A suo parere un esercito volontario è inoltre più motivato e quindi più efficace.

Anastasia è preoccupata per lo stato di dipendenza che il suo paese sta accumulando da potenze straniere, USA in primis. Oggi l'Ucraina non ha i soldi per far fronte alla guerra, per questo è obbligata a far crescere un debito che un domani le potrà essere ritorto contro. Quello che i politici stranieri dicono oggi, afferma, non è quello che diranno domani, perché agiscono sempre così. Quindi la sfida dell'Ucraina è spostare a sinistra la sua politica per produrre conquiste sociali e sfidare le logiche di impoverimento che seguiranno la guerra. Esse, spiega, potrebbero creare disoccupazione per migliaia di veterani addestrati a usare le armi, che diventerebbero un fattore incontrollabile per la società. D'altra parte la sua preoccupazione per le pressioni americane cui l'Ucraina è sottoposta è più immediata: teme che presto gli Stati Uniti possano imporre all'Ucraina una pace che metta in discussione i suoi confini storici, cosa che lei vorrebbe fosse categoricamente esclusa.

Incontriamo quindi Valery del Social Movement. Lui ci spiega l'impatto della guerra sui rapporti di lavoro. Anzitutto, ricorda, la guerra rende necessaria la legge marziale, che sospende il diritto di sciopero. Tuttavia il suo gruppo coopera con diverse organizzazioni sindacali, ad esempio forti tra le infermiere o tra i ferrovieri, e la forza accumulata da essi durante gli scioperi precedenti l'invasione fa sì che abbiano forza sociale anche adesso. Tuttavia, fa notare, le forze neo-liberiste che sostengono Zelensky, anziché proteggere i legami sociali in un momento che richiede solidarietà, hanno approfittato della guerra per attaccare frontalmente i diritti dei lavoratori. Questi ultimi sono contenuti in un codice del lavoro che fa parte dell'eredità sovietica, ed è da decenni il bersaglio prediletto di oligarchi e imprenditori. Prima della guerra l'attuale governo aveva cercato di proporre la sua riforma nel senso di maggiore flessibilità contrattuale, ma senza successo. Con l'invasione russa ha promulgato alcuni decreti emergenziali che indeboliscono la posizione del lavoratore di fronte alla controparte e, successivamente, ha presentato un progetto di demolizione sostanziale del codice del lavoro, che rendesse permanenti queste modifiche. Questo progetto per fortuna non ha trovato la maggioranza in parlamento. Tuttavia resta la precarizzazione dovuta alle norme emergenziali, nelle quali gli attivisti vedono il tradimento del governo rispetto alla resistenza, che è portata avanti dalla working class ucraina.

Per questo, nonostante la condizione di guerra, Social movement opera per l'aggregazione sindacale continua e lancia campagne per la restaurazione dei diritti del lavoro, ottenendo buoni risultati in alcune città, tra cui proprio Leopoli. Qui i lavoratori hanno in media salari più alti, ciò che provoca l'immigrazione interna da altre città di persone disposte a lavorare per meno. Social movement e il Sindacato Ucraino dei lavoratori di Leopoli operano sportelli per informare i lavoratori dei loro diritti e si battono per un aumento complessivo dei salari anche a Leopoli. Tutto questo discende dalla convinzione socialista di Valery e della sua organizzazione, che però ritiene il modello sovietico di socialismo non solo non si possa, ma non si debba riproporre. Dice di apprezzare la definizione del sistema sovietico come "capitalismo di stato": si è trattato, secondo lui, di un movimento comunista radicale che è stato normalizzato nel tempo, divenendo una forma di accumulazione ed espropriazione analoga a quella liberale, che non a caso, dice, è tutt'altro che aliena da forma di pianificazione, addirittura nella strutturazione burocratica interna delle multinazionali, che in fondo rispecchiano nel privato, secondo lui, forme di oppressione e sfruttamento che non hanno nulla da invidiare a quelle del socialismo reale. Ritiene che la crescita dell'apparato burocratico-statale sia ciò che maggiormente ha turbato lo sviluppo effettivo del socialismo nell'Ucraina e nell'Urss in passato. Da lavoratore nelle tecnologie informatiche, fa l'esempio di un piano di automazione computazionale informatizzata del sistema socialista che un geniale ingegnere informatico ucraino aveva promosso in Urss negli anni Settanta, e che invece fu bloccata dalle elite per paura che essa provocasse per la classe burocratica una perdita di potere.

La conversazione continua e si complica. Io comunque faccio notare che in Italia molti avversari paranoici e unilaterali della tecnica, che si presentano chissà perché come difensori della libertà, hanno creato piccoli ma rumorosi movimenti sociali che sono passati senza soluzione di continuità dall'opposizione alle campagne vaccinali alle simpatie per il governo russo durante l'invasione del suo paese e i bombardamenti sulla sua città...