Ucraina, femministe in allarme. Dopo la guerra, si rischia il divieto di aborto

Parla la veterana Marta Chumalo: l'Ucraina in crisi demografica, possibile boom della destra radicale.

Kyiv. «Questa guerra è come una lente che ingrandisce il meglio e il peggio del comportamento umano. In un treno che porta sfollati via dall'Ucraina puoi vedere persone che si scavalcano a gomitate per un posto a sedere, e altre che offrono bevande calde in stazione senza chiedere nulla in cambio». Queste parole, pronunciate con pacata rassegnazione e con un sorriso mansueto, sono la stella cometa di Marta Chumalo, una delle fondatrici del Centro «Prospettive femminili» di Lviv. Marta è una psicologa, esperta di questioni legate al genere e la prima donna ucraina a ricevere il prestigioso Premio Olof Palme, riconoscimento internazionale per chi si distingue nella protezione diritti umani, che lei ha ritirato indossando una tradizionale camicia vishvanka ricamata con motivi floreali.

La sua organizzazione è attiva dal 1998 e gestisce sette case rifugio in tutta l'Ucraina, strutture che forniscono un alloggio alle donne maggiorenni vittima di violenza domestica. Dal 2014, e in particolare dopo l'invasione su larga scala dell'Ucraina da parte della Russia il 24 febbraio 2022, Chumalo si è focalizzata sulle donne sfollate nel conflitto che lacera i confini orientali dell'Europa. Ora è Truskavetz, un centro termale nei Carpazi ucraini molto apprezzato anche dagli ungheresi e dai bielorussi, dove la sua connessione Internet va e viene.

«Alla fine del febbraio dell'anno scorso stavamo pianificando la marcia femminista a Lviv, le prima dopo le restrizioni per Covid. Stavamo stampando magliette», racconta in videochiamata, con i capelli colorati di viola e l'amarezza di chi teme che il ruolo delle organizzatrici come lei venga svilito dopo la guerra. Subito dopo l'invasione, Lviv si è trasformata in un punto di transito cruciale, con donne e bambini che non avevano il privilegio di andare all'estero che si sono stabiliti in centinaia di rifugi improvvisati. Poi, sono tornati anche coloro non sono riusciti a stabilirsi all'estero. Le condizioni offerte dalla città vicina al confine polacco, per quanto generose erano comunque dure: palestre, scantinati, semi-sotterranee, centinaia di persone sdraiate sui materassi, 20 o più in una stanza. Così Chumalo ha creato nuovi luoghi di accoglienza per donne vulnerabili, donne anziani, donne con più di tre figli e donne vittime di violenza.

A Lviv, dove la vita quotidiana è rimasta relativamente indisturbata per tutti i 500 e passa giorni di guerra, specie se a confronto di Kyiv e Odessa, moltissime donne di tutte le età, provenienti dagli angoli più diversi del Paese, si sono reintegrate, hanno trovato lavoro temporaneo o hanno iscritto i figli a scuola. Ma dopo aver lavorato in questo centro particolarmente nazionalista dell'Ucraina, Chumalo ha capito che un altro pericolo si affacciava sulla vita delle militanti come lei: «Dopo le prossime elezioni ci sarà un Parlamento strapieno di uomini provenienti dall'esercito, militari, veterani e dalla destra radicale», ci spiega. «E questo mette a rischio la democrazia ucraina, e più nello specifico le donne».

Una situazione simile si era già verificata nel 2014, dice Chumalo, dopo la rivolta di EuroMaidan che ha portato alle dimissioni dell'allora presidente filorusso Victor Yanukovych: evento fondativo per quella parte di europeista e progressista, contiene tuttavia aspetti oscuri come possibili attacchi false flag realizzati dalla destra eversiva, lo sdoganamento della mitologia ultranazionalista di tipo galiziano (la regione di Lviv) e i tentativi di indirizzo dell'opinione pubblica in direzione pro-Nato e pro-Ue realizzati con l'aiuto fondamentale di diverse ong occidentali. Ricorda Chumalo: «EuroMaidan non fu un evento nazionalistico. Io c’ero. Era contro la violazione dei diritti umani. Era contro la corruzione sistematica». Al tempo stesso, quella lotta per l'emancipazione dal mondo russo-centrico, condivisa da milioni di ucraini, portò alla ulteriore emersione di vari demoni ostili al femminismo.

Teme uno scenario in stile Handmaid's Tale, comunque vada a finire questo conflitto: «Penso proprio che la politica proverà a mettere fuorilegge l'aborto», dice. «Abbiamo avuto già segnali in questi giorni. Ci sono idee malsane nell'aria. Come quella che dice che la nazione ucraina si sta spopolando, sta morendo e le donne devono sfornare figli, senza fiatare». Distopia possibile in una nazione sempre più marziale, dove i manifesti propagandistici sembrano partoriti dalla pubblicità di un videogioco, l'informazione televisiva continua a essere concentrata in un canale solo filogovernativo, oppure paranoia di una militante che non ama una società in uniforme? Quel che si sa oggi è che il 90 per cento degli emigrati ucraini post-invasione sono donne e bambini, e di questi milioni non torneranno indietro. «I bambini dovranno andare a scuola, le donne cercheranno lavoro, specialmente quando in Ucraina hanno perso la casa», spiega Chumalo. Un paese che dopo l'indipendenza, nel 1991, contava 50 milioni di abitanti e ora un terzo in meno, si troverà ad affrontare un problema drammatico di invecchiamento, spopolamento, mancanza di forza lavoro specializzata. La rabbia sciovinista potrebbe suggerire a qualcuno delle soluzioni primitive.

«Non solo la destra radicale vorrà mettere fuori legge l’aborto, ma anche il clero, da sempre rappresentato in Parlamento», dice Chumalo, pensando al Consiglio pan-ucraino delle Chiese, potentissima congrega che include Chiese cristiane di varie confessioni, ma anche diverse organizzazioni religiose, e si batte da anni con molta più veemenza di Papà Bergoglio contro l'ideologia gender e la ridiscussione della famiglia tradizionale. E contro l'aborto, ovviamente. Il Consiglio si è battuto anche contro la ratifica della Convenzione di Istanbul, che definisce la violenza agita contro le donne come una gravissima violazione dei diritti umani e sposta il contesto più a favore alle sopravvissute, da parte dall'Ucraina di Zelensky nel 2022.

Il dilemma che affligge molte femministe ucraine in un Paese impegnato in una guerra esistenziale, mutilato, impoverito e insieme iper-moderno, è un dilemma che affligge gli intellettuali in ogni guerra: restare fedeli a sé stessi o sacrificarsi per la causa? Un dubbio che viene risolto da anni senza tentennamenti da Chumalo come da altri gruppi suoi alleati, che non si fanno intimidire dalla necessità di stringersi attorno alla bandiera. Anche perché l'ostilità di certi gruppi precede il conflitto con la Russia: «Io dalla destra radicale sono stata attaccata per venticinque anni, sin quando ho iniziato il mio lavoro in Ucraina occidentale. La mia prima marcia dell’8 marzo a Lviv, del 2008, subì l'opposizione dei fascisti». Ora però, fa notare Chumalo, le narrative radicali si sono espanse a Est. Per un motivo molto semplice: l'aggressione russa. «Molte donne sfollate dal Donbass che incontriamo hanno idee più nazionalistiche anche dell’Ucraina occidentale. Una certa iconografia spietata si è diffusa nella gente comune. Chi ha perso la casa o è stato costretto a fuggire è stato spinto in quella direzione».

Il femminismo è stato sempre una fatica pazzesca, ride Chumalo: la differenza è che dopo EuroMaidan certe tematiche che le stanno a cuore sono entrate maggiormente nella discussione pubblica. «Ma gli ostacoli non sono mai mancati: con la pandemia ci hanno tolto l'autorizzazione per le marce, e adesso c'è la guerra. All'inizio si è verificato un fenomeno peculiare: la polizia quasi rimbrottava le donne che denunciavano, dicendo: ‘perché denunciate? I vostri mariti sono i nostri eroi, servono alla nazione’. Poi però è finita con gli uomini violenti che, al momento della visita della polizia in casa, venivano serviti con i fogli per la coscrizione, e mandati al fronte. Paradossalmente, la guerra ha liberato molte donne dei propri oppressori. L'altro lato della medaglia è che tantissime altre donne solo sono finite vittime di sfruttamento, sono state trafficate, sono state costrette a prostituirsi».

La guerra è entrata in casa delle ucraine. Non solo, ovviamente, in termini di una routine in alcuni ambiti stravolta, di bollettini mortiferi giornalieri, di un carico di angosce in più, ma anche per l'impatto sulla psiche familiare di uomini che, tornati reduci, non sono più quelli che erano partiti. «C'è chi trova granate nella camera da letto, appoggiate sul comodino, o pistole lasciate da mariti distratti sul tavolo della cucina mentre i bambini giocano in casa. Episodi del genere sono innumerevoli». E poi ci sono gli abusi dettati dalla paura: un uomo ha preso tre suoi figli, tre bambini avuti da tre donne diverse, e li ha portati fuori confine per provare a scappare dalla mobilitazione generale dopo lo scoppio della guerra. Ora, tuttavia, la storia si è capovolta, e le mogli possono portare all'estero i bambini per evadere la guerra anche senza il consenso dei mariti.

Nei rifugi di Women’s Perspectives non si forniscono pasti, ma al massimo, se ce n'è bisogno, i generi alimentari di base. Poi spetta agli inquilini decidere cosa cucinare. Dare da mangiare alle persone, dice Chumalo, toglie loro il controllo e il potere sulle loro vite. Il modo in cui i rifugi sono organizzati vuole incoraggia le donne a riprendersi il controllo della vita il più rapidamente possibile, a essere in grado di prendere decisioni, a fare progetti: «Non offriamo solo alloggi, ma anche un sistema consolidato di supporto psicologico e culturale. Vogliamo che le persone siano indipendenti».

Come lo immagina il dopoguerra? «Sogno di organizzare di nuovo manifestazioni, sogno un Paese libero dalla morsa del nazionalismo». Tuttavia Chumalo è pienamente consapevole delle gravi sfide che l'Ucraina dovrà affrontare una volta terminato l'assalto russo, specie se il risultato non dovrebbe soddisfare i più conservatori e gli uomini al potere. «C'è il rischio che la violenza domestica aumenti con il ritorno degli uomini dalla zona di guerra. Dobbiamo pensare in anticipo a come affrontare la situazione», avverte Chumalo.

«Sarà impossibile evitare il nazionalismo», ammette. «La questione della lingua è stata una delle prime giustificazioni usate da Putin per l'invasione. E per questo avremo un sacco di iniziative contro la lingua russa». Lei spera in un grande periodo di riflessione. «È così importante avere piattaforme per discutere, e al momento non ne abbiamo: né per parlare della questione della lingua, né per affrontare i diversi problemi che ci affliggeranno, tra cui il maltrattamento e l'umiliazione delle donne». Ma è possibile prevedere le sfide che attendono la società ucraina, ricorda Chumalo, e iniziare a dare una risposta.