Il cessate il fuoco non basta più?

Author
Aleksandr Pechenkin Alexander Bikbov Giuseppe Lingetti
Date
March 15, 2023

Incontro con un sociologo russo dissidente e un militante della sinistra radicale ucraina: le tensioni sociali interne, l'invio di armi, il ruolo della Nato, il rischio di una guerra mondiale e quello della prosecuzione dell'avanzata di Putin

In occasione dell’anniversario dell’invasione russa dell’Ucraina abbiamo incontrato a  Roma in Aleksandr Pechenkin, militante della sinistra radicale ucraina di Sotsialnyi Rukh, e Alexander Bikbov, sociologo russo vicino ai movimenti di protesta per approfondire la situazione nei rispettivi contesti dal punto di vista di militanti della sinistra radicale dei due paesi.

L’impressione che si ha in Italia è che la guerra in Ucraina abbia portato a un aumento dell’unità nazionale. Fino a che punto la guerra ha, invece, acuito differenze sociali e tensioni politiche?

Pechenkin: La guerra ha certamente fatto esplodere l’unità nazionale a livelli mai visti prima. Oserei persino dire che il 24 febbraio 2022 sia stato l’ultimo giorno nel processo di formazione dell’identità ucraina: si è passati dal costrutto astratto al mettersi a disposizione in ogni modo possibile per la difesa del paese. Ciò si spiega facilmente come un processo di unificazione interna di una società di fronte a un pericolo esterno. Vi è quasi totale assenza di sentimenti filo-russi nei territori sotto il controllo ucraino, mentre nei territori a lungo sotto occupazione russa si vede il tragico effetto della propaganda: nell’est occupato viene alimentato odio non solo per lo stato e l’esercito stessi, ma anche per gli abitanti dei territori sotto il controllo ucraino. Questo potrà  essere un grosso problema per il dopoguerra.

Sappiamo che l’entrata in vigore della legge marziale ha portato anche a un attacco ai diritti, sindacali e non, in Ucraina. Come sta evolvendo la situazione? C’è da temere un arretramento che si consolidi dopo la cessazione delle ostilità?

Pechenkin: La legge marziale causa molte restrizioni: limita sindacati e attivisti e vieta le manifestazioni. Ciò serve per proteggerci dalle provocazioni dei servizi speciali russi e garantire l’efficienza in un paese stremato. Infatti, nelle industrie vitali per il paese non si fanno scioperi o proteste. Si parla di operai ferroviari che lavorano ventiquattro ore al giorno per la manutenzione o per salvare dalle bombe i residenti della prima linea; elettricisti che per giorni, senza dormire, riparano danni causati da attacchi missilistici, ripristinando l’energia in città a -10°C e chirurghi che operano soldati ucraini per tutto il giorno. In questo momento la principale minaccia ai diritti della classe lavoratrice in Ucraina è la Russia, perciò le lavoratrici e i lavoratori sono disposti  a fare sacrifici e lavorare per giorni, comprendendo l’importanza del contributo per la causa comune. In parlamento c’è un’attività di lobbying per leggi rappresentanti gli interessi delle imprese che – nonostante la resistenza dei militanti – vengono adottate grazie alla guerra stessa. Infatti, il centro dell’attenzione sociale è spostato sulle operazioni militari, non consentendo alla popolazione di organizzarsi per difendere i propri interessi.

Come è stata inizialmente recepita la leva obbligatoria e com’è cambiata la situazione un anno dopo?

Pechenkin: La mobilitazione generale continua a pieno ritmo a causa delle pesanti perdite al fronte e dei rischi di una possibile nuova offensiva russa; l’esercito ucraino ha infatti raggiunto il milione di soldati. Purtroppo sono noti casi negativi riguardanti soldati inviati al fronte con poca o nessuna preparazione e in questi casi il rischio di morte è molto alto. Ho però avuto notizia anche di forme di selezione dei volontari nei centri di reclutamento, chiedendo motivi e disponibilità ad andare al fronte. Gli specialisti in settori tecnici strategici, quali radioelettronica, medicina, droni, informatica, cyber-security, intelligence, invece sono chiamati più attivamente; anche studenti universitari o dottorandi molto giovani – come successo a un nostro compagno – o donne nel settore medico.

In occidente c’è un’idea monolitica della resistenza ucraina, senza dare spazio a contraddizioni e differenze. Al di là dell’esercito regolare, quali sono attualmente le principali divisioni e organizzazioni? Esiste una milizia di sinistra?

Pechenkin: Dalla parte ucraina stanno combattendo molte unità diverse tra loro quali legioni internazionali, russi di opposizione, ingusci, ceceni, georgiani. Per quanto ne so, non esistono milizie composte solo da persone di sinistra, sebbene ci siano molti attivisti e intellettuali di sinistra al fronte, tutte le formazioni sono direttamente subordinate al comando ucraino. Forse è il caso di citare gli anarco-comunisti russi del Boak, che – in collaborazione con l’intelligence ucraina – organizzano sabotaggi e attacchi contro le infrastrutture militari in tutta la Russia. Molte loro azioni hanno avuto successo e fortemente aiutato l’esercito ucraino.

Ci sono quasi cinque milioni di rifugiati ucraini nell’Ue. All’inizio molti pensavano di tornare presto in Ucraina, un anno dopo quali sono le prospettive più diffuse?

Pechenkin: Secondo un’indagine del Cedos, circa il 20% dei rifugiati recatisi all’estero sostiene che non sarebbe tornato a vivere in Ucraina – anche dopo la guerra – ma sono sicuro che la maggioranza tornerà. Molto dipende dalla situazione dei territori da cui provengono e dagli sviluppi relativi alla guerra stessa. In particolare, secondo molti sociologi l’est del paese si spopolerà dopo la fine della guerra, anche se prevale l’Ucraina circa uno o due milioni di rifugiati rimarranno per un po’ sparsi in Europa.

C’è molta confusione e divisione nella sinistra europea riguardo armi e sanzioni, e in generale sulla posizione da assumere. Quali sono le vostre idee rispetto le iniziative occidentali?

Pechenkin: Data la scelta di autodeterminazione del popolo ucraino, è importante specificare che queste armi non saranno usate per attaccare la Russia, bensì per proteggerci. Questa è una posizione sia mia che di tutta Sotsialnyi Rukh. Per questa ragione siamo imbarazzati dal ritmo piuttosto contenuto delle consegne, incluse armi difensive come i sistemi di difesa aerea. Queste armi avrebbero potuto salvare tante vite – numerosi civili – se fossero state mandate sei mesi fa, sarebbero state in grado di proteggere il sistema energetico ucraino dagli attacchi missilistici dello scorso novembre e dicembre. Prima la Russia sarà costretta a fermarsi sul campo di battaglia e meno vittime ci saranno. Considerando la superiorità di mezzi da parte russa, l’Ucraina paga la sua indipendenza con migliaia di vite della classe lavoratrice.

La mia città natale, Berdyansk, e la maggior parte della mia regione, la Zaporizhzhia, sono occupate dalla Russia. Centinaia di persone sono state arrestate, torturate e picchiate nelle carceri solo per aver protestato pacificamente. Sono state rinchiuse con criminali e minacciate di ritorsione verso le loro famiglie se avessero continuato a protestare; alcuni sono scomparsi nel nulla.

In certi ambienti di sinistra si pensa che la Russia sia un’alternativa all’imperialismo Nato, ma essa è piuttosto la peggiore realizzazione del capitalismo. Se avete idee pacifiste non dovreste bloccare le forniture di armi all’Ucraina, bensì usare ogni mezzo possibile per bloccare le azioni dell’aggressore, ovvero la Russia. I soldati ucraini hanno bisogno di armi per fermare l’avanzata russa e la guerra, recuperando almeno una parte dei territori per costringere la Russia a negoziare accordi. Qualsiasi guerra in ogni caso finisce con negoziati e anche questa finirà così. Garanzie di sicurezza e possibilità di autodeterminazione per il popolo ucraino: questo dovrebbe essere l’esito di questa guerra.

Comprendo le contraddizioni riguardo l’ipocrisia dell’occidente e la natura della Nato, ma noi ucraini necessitiamo di armi per difendere il nostro futuro. La contrarietà all’invio delle armi aiuta la Russia, quindi favorisce militarismo e fascismo e conduce a migliaia di morti e a un trattamento duro e umiliante per la classe lavoratrice. Il nostro primo problema ora è l’imperialismo russo, non quello Nato, mentre quest’ultimo si porrà soprattutto nel dopoguerra nel caso di vittoria ucraina. In futuro l’Ucraina avrà certamente bisogno di essere protetta dal colonialismo occidentale, per ciò contiamo sulla solidarietà internazionale della sinistra. Ma ora serve fare il possibile per fermare questa guerra con il minor numero di vittime. Il popolo ucraino vuole combattere fino alla morte – questa è una nostra scelta – mentre l’esercito russo no, perciò serve fare pressione in battaglia per imporre negoziati. C’è da dire, però, che la sinistra in Europa non ha molto peso nelle decisioni sulle armi. Potete però, mandando aiuti, solidarizzare con la popolazione civile ucraina che soffre e ha perso tutto per la guerra: penso che questa forma di solidarietà e sostegno non porti contraddizioni.

La leva obbligatoria è stata vista in occidente come una prova delle difficoltà del governo russo. La popolazione come pensi abbia recepito la chiamata alle armi?

Bikbov: In Russia la leva – soprattutto dopo l’annuncio del settembre scorso – è totalmente arbitraria. È una leva molto classista che pesca tra i poveri e i carcerati, reclutando chi è considerato inutile. Invece di tecnologie moderne, per vincere si usa come carne da cannone chi è considerato scarto. Ciò è molto sentito in Russia: non a caso, da settembre scorso si sono moltiplicate le resistenze, tra azione diretta e sabotaggio. Ci sono tanti casi di falsificazione dei dati per evitare la leva o di persone condannate per «offesa dell’autorità». Un’altra misura è data dai numeri dei volontari, i quali, secondo il Ministero della Difesa, sono circa 15mila su 300mila tra i mobilitati nei primi tre mesi dopo settembre. Il governo stanzia tanti soldi per i volontari, pagando tra i 100 e i 200 mila rubli – tra i 1.200 e i 2.500 euro circa – al mese quando nelle regioni più povere lo stipendio medio tocca 10, 20 mila rubli (circa 150, 250 euro). È indicativo come ai mercenari di Wagner sia stato permesso di reclutare carcerati ben prima della legalizzazione delle armate private in Russia. Questa arbitrarietà è sentita e sta diventando un tema anche sui media ufficiali. Alcuni governi locali e associazioni delle madri e delle mogli dei soldati criticano la leva, sottolineando le condizioni di vita dei soldati. Ci sono critiche sia dalle opposizioni che da parte dei lealisti, che ne criticano il classismo.

La grande copertura mediatica delle proteste contro il regime all’indomani dell’invasione è gradualmente svanita. Che diffusione avevano e come si sono evolute?

Bikbov: La protesta di piazza più visibile e riconoscibile all’inizio si è spenta velocemente per la repressione, tra arresti di massa, processi farsa e prigione per chi sostiene sui social. Però ci sono più forme di resistenza oltre a  quella classica di piazza, soprattutto indirizzata ai media e incentrata sul tema della libertà di espressione, praticata soprattutto dall’opposizione liberal-democratica. Un’altra forma è praticata da reti di sinistra, femministe, anarchiche – più abituate alla repressione – con modalità più simboliche, indirizzate a chiunque in modo anonimo. Esempi sono campagne in cui sticker e manifesti vengono attaccati sui muri, si creano monumenti per commemorare le vittime civili, o si scrivono messaggi pacifisti su banconote o cartelli nei supermercati. Poi ci sono gli attacchi ai commissariati da parte di militanti e non, di sinistra ma anche di estrema destra. Vi è inoltre il sabotaggio contro comunicazioni, trasporti e rifornimenti tra la Russia e il fronte, spesso rivendicati da reti anarchiche. Molto importante è anche la controinformazione, tramite media indipendenti quali blog, canali telegram, mailing-list, che fanno inchiesta sulle misure in Russia riguardanti armi, commesse militari, frodi sui fondi di guerra.

In Occidente è diffusa l’idea che guerra e sanzioni rafforzino il consenso di Putin e la coesione nazionale, anche perché l’economia russa sembra aver retto finora. Pensi sia vero? Come interpreti ciò?

Bikbov: L’idea iniziale era che la Russia sarebbe capitolata in pochi mesi con le sanzioni. Ciò però non considerava la dipendenza energetica europea. Durante tutti questi mesi di guerra i gasdotti che passano in Ucraina per rifornire i paesi Ue sono rimasti operativi nonostante tutto. Negli ultimi mesi le forniture verso l’Ue sono diminuite solo del 20%, mentre i guadagni si sono ridotti solo di un quarto. Questa è una delle chiavi della tenuta dell’economia russa, a parte il riorientamento delle forniture di gas e petrolio verso India e Cina. Recentemente, per fortuna, è emersa una grande crescita dell’energia verde nell’Europa dell’est e il dibattito attuale tra governi Ue è sempre più sul velocizzare la transizione. Le sanzioni non possono essere efficaci contro l’economia di guerra russa se c’è questa dipendenza, quindi vedremo gli effetti forse tra due o tre anni.

I governi europei cercano di prolungare il trasporto di gas fino a che non sarà così necessario, ma c’è anche timore per l’inflazione. Il price-cap a 60 dollari al barile sul prezzo del petrolio russo è una misura contro l’inflazione in Europa in quanto sta sopra il prezzo attuale, non un modo per limitare i guadagni russi. A parte l’importazione sommersa, ci sono inoltre varie corporation occidentali, come Auchan e Leroy-Merlin, che non vogliono lasciare il mercato russo. I prossimi due anni saranno decisivi per capire l’evoluzione.

Puoi dirci di più su come guerra e situazione internazionale stanno influenzando le differenze e le tensioni sociali?

Bikbov: In Russia questo impatto è ancora più visibile rispetto all’Ucraina a causa della leva. Nelle regioni e negli strati più poveri la leva è maggiore, ma anche le strategie di resistenza variano. Si fugge di più da San Pietroburgo e Mosca – cioè le città più ricche – mentre le regioni più povere, quindi minoranze etniche e Russia più profonda, sono più toccate dalla leva obbligatoria e volontaria, che ha più successo in piccoli villaggi più che in grandi centri. Inoltre il consumo di psicofarmaci, che si sovrappone abbastanza alle statistiche di chi fugge ed è raddoppiato nel 2022 rispetto al 2021, incide più nelle grandi città, mentre in regioni più toccate dalla leva, quali Cecenia e Daghestan, è più basso. Nelle zone ricche quindi si adottano strategie per affrontare gli effetti della guerra molto più che in quelle povere, dove mancano anche le risorse culturali. L’impatto dell’economia di guerra è ben visibile nella crescita dei prezzi nei supermercati – con rincari di circa il 50% – mentre gli stipendi sono fermi: la mancanza di soldi è ormai generalizzata e ovviamente più sentita da poveri e precari.

L’emigrazione dalla Russia è aumentata molto con l’invasione. Com’è visto questo fenomeno e quali sono le ragioni? Che sostegno trova chi fugge?

Bikbov: Le persone partite dall’inizio sono tra le cinquecentomila e un milione e sono partite sia perché contrarie alla guerra sia per paura di finire al fronte. Di queste una parte non stimabile è tornata o è pendolare, non solo dall’Europa occidentale ma anche da paesi vicini come Armenia, Georgia o Turchia. Il giudizio ruota intorno a questioni economiche, familiari o di stile di vita. Tutto ciò è controverso nel dibattito in Russia, perché in parte vi è polarizzazione tra chi rimane e chi parte e questo confronto si esprime in polemica violenta. Per esempio, tra chi parte c’è chi rivendica lo sforzo per cambiare vita, accusando chi rimane di essere passivo o collaborazionista.Invece, tra chi rimane ed è pacifista l’accusa è di essere impressionabili o traditori della causa di una Russia diversa. Chi fugge ha spesso un certo livello economico e culturale, quindi è difficile staccare i loro motivi politici e sociali: la stessa fascia di popolazione protestava contro Putin dal 2011.

Quest’ultima domanda è per entrambi. L’attuale stallo sta creando dibattito su possibili negoziati, mentre cresce il timore di una guerra globale. Da un lato c’è il rischio appeasement a là Chamberlain. Dall’altro le scarse risorse ucraine suggeriscono che l’aiuto occidentale tenderà ad aumentare, rischiando una guerra Nato-Russia. Cosa ne pensate?

Pechenkin: È complesso parlare di possibili esiti. È cruciale costringere la Russia a negoziare e a fare concessioni politiche e militari. Penso che andrebbe inflitta una sconfitta significativa alla Russia per poi, dopo, offrire chiare garanzie di sicurezza, garantendo al contempo la sicurezza dell’Ucraina. Garanzie che non siano vuote come il memorandum di Budapest – violato dalla Russia – per il quale l’Ucraina ha rinunciato al terzo arsenale nucleare al mondo. Servirebbe una proposta tipo quella cinese, che contenga gli interessi di tutti. Condivido esista il grande rischio di un conflitto mondiale, però ciò dipende da Nato e Pentagono. Personalmente rinuncerei alla mia regione per evitare una guerra mondiale, però la Russia non si fermerebbe dov’è ora, poiché punta a prendere tutta l’Ucraina o di più. Il governo vuole riprendere tutti i territori occupati dal 2014 ritenendo che chi vive nei territori occupati debba decidere poi del proprio futuro, perciò è difficile capire il compromesso possibile. La mia posizione è che l’Ucraina debba prima di tutto riprenderli con la forza, poi fare negoziati con la Russia e capire con chi vive lì che fare.

Bikbov: È una domanda impegnativa, in quanto il contesto è mutevole. L’opposizione russa sostiene non basti un semplice cessate-il-fuoco, in accordo con gli ucraini: perciò condivido serva il ritiro dell’armata russa dal territorio ucraino. Ciò però porta anche alla militarizzazione dell’Europa – che certo non condividiamo – la quale crescerà con l’aumentare di armi e soldi per i militari. Cessare il fuoco avrebbe senso se la Russia si ritirasse, ma ciò è improbabile al momento: purtroppo la guerra continuerà per anni. Per quanto riguarda la Nato, serve pensare all’oggi nel concreto per capire come fermare l’invasione decisa dal Cremlino, più che pensare a rischi e danni futuri che arriveranno comunque. In particolare, l’attuale regime ha sostituito il neoliberismo con un arcaico neomercantilismo coloniale. Questo modello si fonda sul controllo di territori e popoli, implicando l’espansione territoriale. Perciò diventa prioritario capire come fermare questa guerra tenendo conto di come la Russia sia l’origine del problema.

Aleksandr Pechenkin è un attivista dell’organizzazione di sinistra radicale ucraina SotsialnyiRukh. Alexander Bikbov, sociologo russo, è stato il vice direttore del centro per la filosofia contemporanea e le scienze sociali dell’Università di Mosca. È ricercatore associato all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales (Ehess) di Parigi. Giuseppe Lingetti è dottorando in fisica teorica del Dipartimento di Fisica della Sapienza.